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A partire dal Medioevo e fino alla fine del XIX secolo, le trasformazioni economiche e sociali delle comunità rurali sono state poche e poco significative se paragonate agli stravolgimenti che abbiamo vissuto nel corso del secolo appena conclusosi.

Il patois è stato a lungo la principale e pressoché unica lingua di comunicazione per gli abitanti dei villaggi che costituivano la grande maggioranza della popolazione valdostana. Oggi questa lingua rischia di perdere le sue caratteristiche, o addirittura di scomparire, in relazione alle trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali che ne hanno causato la regressione e l'emarginazione a favore dell'italiano, del francese e di altre lingue ancora.

Per garantirne la sopravvivenza, è importante mantenere e aumentare il numero dei suoi parlanti, ma anche conservarne i tratti fondamentali che sono minacciati dall'interferenza con l'italiano, dal prestito frequente e acritico di parole tratte da questa lingua e anche dalla difficoltà di adattare il patois alle nuove esigenze comunicative.

Il patois è l'espressione di valori linguistici e culturali imprescindibili; merita dunque di essere salvaguardato nelle sue specificità formali e semantiche. Considerato il fatto che le interferenze e le contaminazioni sono, in genere, inversamente proporzionali alla conoscenza della lingua e alla preoccupazione di preservarne la purezza, è necessario trovare delle soluzioni che possano colmare il vuoto determinato dall'assenza di terminologia e, allo stesso tempo, porsi il problema di ciò che è possibile fare per combattere le contaminazioni provenienti dall'esterno.

La pratica quotidiana del patois ci mette di fronte a tutti questi esempi di contaminazione che fanno sorgere alcune domande:

  • È possibile parlare un buon patois?
  • È ancora possibile salvare la ricchezza, a volte sorprendente, di un vocabolario legato al mondo rurale oppure dobbiamo rassegnarci alla perdita di un patrimonio linguistico perché non più corrispondente alla realtà?
  • È possibile pensare a mezzi (accademia, educazione, media) grazie ai quali dare delle indicazioni per un impiego della lingua più corretto e meno snaturato?
  • Quale atteggiamento adottare di fronte alla modernizzazione del patois: condanna o tolleranza?
  • Dobbiamo semplicemente rallegrarci per il fatto che il patois in Valle d'Aosta conservi ancora una vitalità ormai persa altrove oppure essere critici di fronte alle deformazioni di ordine lessicale, fonetico, morfologico e sintattico?
  • È ancora possibile coniugare le esigenze di praticità e di utilizzo con la preoccupazione e il rispetto per la forma?

È convinzione diffusa che il patois possa sopravvivere e continuare a rappresentare uno degli aspetti più importanti del particolarismo valdostano: da qui l'esigenza di una lingua attuale, che risponda ai molti bisogni della società contemporanea, ma anche di una lingua che non perda la sua identità e che non anneghi nel mare di espressioni prese in prestito da altre lingue.

Che fare dunque?

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Sketch presentato in occasione del Convegno annuale sull'attività scientifica del Centre d'Etudes Francoprovençales R. Willien - 2005

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