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Salvaguardare, coltivare, valorizzare

di Saverio Favre

salvaguardare, coltivare, valorizzare il francoprovenzale valdostano

Tre momenti, complementari e indissociabili, sono stati individuati nel processo di recupero, conservazione, promozione e diffusione di una lingua, tre pietre miliari di un percorso che tende a creare le condizioni perché le parlate francoprovenzali e walser della Valle d’Aosta possano mantenere tutta la loro vitalità: salvaguardare, coltivare, valorizzare.

Salvaguardare

salvaguardare

Il patois è oggi a forte rischio di regressione e in certe realtà anche di estinzione, sopraffatto dalle lingue cosiddette di cultura e in una società che si vuole sempre più multiculturale e multilingue. In questo contesto, le nostre parlate vernacolari rappresentano l’anello debole, la componente fragile del repertorio linguistico di una regione e sono, per dirla con Alessandro Manzoni, “come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. Esse sono in qualche sorta il tchouèinì della famiglia, il figlio cadetto (un tempo senza diritto di successione), l’ultimo della nidiata, il più piccolo della cucciolata, che ha quindi bisogno di sostegno per poter competere con gli altri. Al pari dell’ultimo nato, o di un minore, le lingue classificate come minoritarie vanno salvaguardate, ossia, salvate, tutelate, difese, custodite, protette, preservate: e ciò non limitandosi a far ricorso allo strumento legislativo, di per sé insufficiente all’uopo, ma con operazioni concrete, costanti e convinte. Nel corso degli anni, l’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta ha condotto azioni mirate a favore delle parlate francoprovenzali e walser, le quali oggi, grazie anche alla particolare sensibilità e alla coerenza di tanti locutori, godono ancora di una discreta vitalità. Ciononostante, azioni urgenti ed energiche, non soltanto attraverso l’intervento delle istituzioni bensì con il concorso di tutti, si rendono oggi necessarie per arginare il degrado di queste parlate e far sì che la parola “salvaguardia” non rimanga un flatus vocis ma si concretizzi nella quotidianità e in ogni circostanza.

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Coltivare

Coltivare

Il verbo coltivare possiede un campo semantico piuttosto ampio, comprende cioè più significati che si applicano a contesti diversi. Si può coltivare la terra, nel senso di “lavorare, arare, zappare, vangare”; la mente o una facoltà, nel senso di “esercitare, educare, potenziare, incrementare, sviluppare”; un interesse, nel senso di “dedicarsi, applicarsi”; un sentimento, nel senso di “nutrire, alimentare, carezzare”. Coltivare una lingua come il francoprovenzale può voler dire tutto questo, tuttavia, metaforicamente parlando, il significato che meglio si attaglia al nostro contesto è quello relativo alla coltivazione della terra. Una lingua è una realtà viva e in continua evoluzione, è come un seme in grado di germogliare e di produrre frutti, sempre che trovi un terreno fertile e quindi dissodato, arato, concimato, irrigato, mondato: in una parola, coltivato. Come in agricoltura le tecniche si sono evolute, grazie alla meccanizzazione e tenendo conto di tante variabili quali il mutamento climatico, così, nell’operare a favore di una lingua minoritaria, è opportuno creare le condizioni ottimali, facendo ricorso alle tecnologie d’avanguardia e tenendo nella dovuta considerazione i cambiamenti che si sono prodotti nel tessuto sociale, valdostano nella fattispecie, nel corso degli ultimi decenni. Sempre parlando per metafore, si tratta di mantenere in efficienza i campi ancora coltivati, ampliare le aree coltivabili dissodando nuovi terreni o rimettendo a coltura il vaco, ossia i terreni abbandonati. In altri termini, occorre mantenere vivo il patois laddove è ancora parlato, diffonderlo presso coloro che non lo conoscono, far sì che venga recuperato da quanti lo hanno abbandonato. Che sia lingua del cuore, lingua di adozione o lingua di integrazione, il patois, come i prodotti della terra, è un elemento vitale che nutre lo spirito e arricchisce culturalmente.

Valorizzare

Valoriser
Valoriser

Il patois è un patrimonio che ci è stato tramandato dalle generazioni che ci hanno preceduto, una ricchezza che abbiamo ereditato e che dobbiamo custodire gelosamente. Tuttavia, non può essere considerato alla stregua di una reliquia o di un reperto archeologico oppure, ancora, di un diamante che, conservato in uno scrigno, mantiene o aumenta il suo valore: una lingua è un bene immateriale, un bene vivo e deperibile che richiede sempre nuova linfa per poter prosperare e proliferare, che non va posto sotto una campana di vetro ma che deve circolare liberamente ed essere accessibile a tutti. Si tratta di un patrimonio che necessita di investimenti, di operazioni mirate, perché non perda di valore ma riesca a mantenere o a potenziare dignità, prestigio e un ruolo sociale attivo. In altri termini, occorre valorizzare il nostro patois e valorizzarlo significa in primis farne aumentare il valore, rivalutarlo, ma anche metterlo in risalto, metterlo in luce, metterlo in evidenza. Su un bene immateriale non è semplice effettuare operazioni di capitalizzazione: un valore che non sia venale bensì simbolico, affettivo, identitario è difficile da quantificare, quindi le strategie da mettere in atto vanno dimensionate e commisurate alla natura del bene stesso e in base agli obiettivi che si intendono raggiungere. In un mondo dove la comunicazione svolge un ruolo imprescindibile, informare, diffondere, far conoscere, promuovere, conferendo al bene in questione il suo giusto valore, anche sul piano scientifico, è sicuramente una carta vincente, un atout da far fruttare. Una lingua come il francoprovenzale, espressione tra le più forti della valdostanità, si presenta oggi come un’opportunità da cogliere e vuole essere un elemento di apertura e di integrazione, un valore aggiunto al proprio bagaglio linguistico e culturale, quel gruzzoletto messo da parte, lo gnalèi, che non va tenuto nascosto ma generosamente condiviso.

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