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Passato, presente e futuro

"Il caleidoscopio linguistico e culturale della Valle d’Aosta" di Alexis Bétemps

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Memoria e identità

In questo momento, in cui si dice che l’umanità stia andando verso una mondializzazione uniforme, si parla molto di memoria e di identità. Quest’ultima parola tende ad assumere delle sfumature, talvolta molto diverse secondo le intenzioni dell’utilizzatore. Senza perderci in questo tipo di dibattito, crediamo che l’identità sia molto semplicemente un sentimento, uno stato affettivo, più o meno accentuato secondo gli individui o i gruppi, legato ai luoghi e alla propria storia, alla propria eredità culturale, alle relazioni sociali intrattenute dagli abitanti, alla formazione ricevuta. Si tratta dunque di un sentimento che si nutre soprattutto di memoria. Nel corso della sua vita in società, un individuo assimila le regole, i valori e le rappresentazioni della sua comunità, costruisce il suo sistema complesso di relazioni e perfeziona il proprio sentimento identitario. L’identità rappresenta una ricchezza insostituibile nel quadro degli equilibri sociali, e anche una garanzia per l’evoluzione coerente delle comunità. L’identità valdostana, come d’altronde tutte le altre, si caratterizza per un insieme di tratti ben marcati che ne fanno un patrimonio unico, al tempo stesso ricco e fragile.

Lingua e identità

Tra i tratti identitari, la lingua è il più evidente e il più particolare. Da tempi immemorabili, i valdostani parlano abitualmente francoprovenzale, patois come dicono. Si tratta del latino popolare locale, influenzato dalle lingue parlate anticamente in loco, celtiche o addirittura preindoeuropee, arricchito dagli apporti più recenti che vengono dalle parlate vicine o sono stati importati da popolazioni da poco arrivate. È in francoprovenzale che i luoghi sono stati designati, fino al più piccolo lembo del territorio ; è tramite il francoprovenzale che i miti, le leggende, le credenze e i saperi (quello che si chiama attualmente patrimonio immateriale) sono stati trasmessi di generazione in generazione; è in francoprovenzale che le nostre comunità si sono organizzate, hanno creato le loro istituzioni e maturato valori condivisi. Lingua proteiforme (ogni parrocchia contava almeno una varietà che la caratterizzava), il francoprovenzale non ha mai dato origine a un idioma unico e normalizzato. Così, con l’abbandono del latino come lingua ufficiale, è stato il francese a sostituirlo.

La crisi del modello linguistico

Nel 1861, data dell’Unità d’Italia, l’italiano si è ufficialmente aggiunto alle due lingue tradizionali. Il ventennio fascista ha brutalmente imposto la lingua e la cultura italiana e, nonostante lo Statuto autonomo del 1948, la Valle d’Aosta non recupera più integralmente il suo patrimonio linguistico tradizionale, risultato di una secolare sedimentazione culturale. Il francese è abbandonato dalla maggior parte delle istituzioni, sia laiche sia  religiose, e la scuola è largamente insufficiente per restituirgli il suo vigore ancestrale. Il declino incontenibile della società agropastorale tradizionale, divenuto evidente all’inizio degli ani 1960, ha come conseguenza l’abbandono della montagna e dell’agricoltura. La trasformazione dell’economia con l’affermazione del terziario, una nuova ondata di immigrazione italiana e la penetrazione della televisione che segna la fine delle veglie comunitarie, mettono in crisi il francoprovenzale e generano cambiamenti culturali  ai quali la popolazione non era preparata. Così, uno dei tratti più importanti, il sistema linguistico, rischia di essere rapidamente cancellato dalle pratiche quotidiane della comunità. Ma non solo…

Le nuove tendenze

Verso la fine del XX secolo, la tendenza alla globalizzazione avanza, in Valle d’Aosta come altrove, e i rapporti identitari interni alla comunità valdostana cambiano ancora. È l’inizio del periodo storico che stiamo vivendo, caratterizzato da una grande mobilità della popolazione mondiale in cerca di sicurezza e di migliori condizioni di vita, con l’annullamento, o quasi, della barriera delle distanze, con una tendenza all’omologazione culturale secondo modelli stereotipati, con il perfezionamento e l’introduzione delle tecniche di controllo sociale. Le società si evolvono rapidamente sotto la spinta di innovazioni talora repentine e generalmente irrispettose del passato. Esse devono essere in qualche modo dominate perché la loro foga non rischi di livellare, standardizzare tutto, in poche parole, cancellare la storia, soprattutto quella delle classi di popolazione più deboli, quelle che hanno costituito l’ossatura della civiltà mondiale. Si disegna l’origine di un panorama culturale nuovo, ma che non ha ancora contorni ben definiti. In questo nuovo contesto, l’insieme delle conoscenze e dei valori maturati dalla società agropastorale tradizionale, come anche il bipolarismo linguistico e culturale che sembrava essersi affermato in Valle d’Aosta, vacillano. Inquietudini nuove attraversano la società, combattuta tra apertura all’altro e ripiegamento su se stessa. È il momento di vigilare, e di lavorare, perché il futuro sia ricco, vario e rispettoso delle ricchezze culturali accumulate. Senza costrizioni, senza contromisure, le nuove tendenze possono sommergere la memoria e causare danni irreparabili.

La conservazione della memoria

Si deve cercare un nuovo equilibrio, arricchito di contributi nuovi e di eredità antiche. Purtroppo, la conservazione del patrimonio di conoscenze ancestrale è sempre più problematica poiché questi saperi non sono più trasmessi dai canali tradizionali e sono discriminati dai moderni media. Persino la loro memoria rischia di essere cancellata. Pertanto è importante che l’eredità del passato sia studiata per essere conosciuta meglio, conservata e dovutamente messa en rilievo perché possa continuare ad essere un elemento identitario accessibile alle generazioni future. Non si tratta di imporla, ma di salvaguardarla perché i giovani cittadini possano scegliere il proprio avvenire con conoscenza di causa. Tutto ciò che è produzione dello spirito e della sensibilità umana deve trattenere la nostra attenzione, soprattutto quando tale forma di civiltà è unica e irripetibile. E se necessario deve essere protetta. È un’esigenza di carattere generale e, diremmo, universale. Il bisogno di continuità culturale, minacciato oggi dal movimento globale di standardizzazione, è diffuso e condiviso. La conservazione della memoria e la ricerca identitaria sono sempre più una necessità, un’urgenza, e le comunità devono trovare delle soluzioni.

Quel che si è pensato bene di fare

La Valle d’Aosta, grazie all’Amministrazione regionale, previdente, ha provvisto a dotarsi di strumenti adatti, da anni, sostenendo le associazioni e creando il BREL (Ufficio regionale etnologia e linguistica). Ha favorito la nascita di strutture che assicurino la raccolta di materiali (registrazioni sonore, lettere, quaderni di canzoni, annotazioni manoscritte, fotografie, video, ecc.), e ne curino l’archiviazione, classificazione e conservazione, lo studio scientifico e la divulgazione. Parallelamente, l’Amministrazione ha anche sviluppato un’azione costante per incoraggiare la popolazione a praticare, per quanto possibile, le proprie lingue tradizionali: il francese tramite l’insegnamento scolastico, l’organizzazione di eventi culturali, la diffusione di libri, audiovisivi, ecc.; quanto al francoprovenzale, è entrato a scuola, molto tempo fa, grazie al Concours Cerlogne; è insegnato all’École populaire de Patois istituita proprio con questo scopo; è utilizzato in pièces teatrali, prodotte e rappresentate dalle numerose compagnie nate nella seconda metà del XX secolo, è usato da poeti e scrittori, è cantato da corali e cantanti. Inoltre, l’Amministrazione ha provveduto a professionalizzare il personale che opera nell’ambito del francoprovenzale riconoscendogli, tramite una certificazione, le relative competenze. Perché, se è importante che il ricordo persista, è ugualmente importante che ciò che è ancora vivo continui il suo percorso nella storia e contribuisca così a rallegrare quanti portano questa lingua nel loro cuore e alimenti, al tempo stesso, la diversità linguistica e culturale.