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La parola del mese: sabot

29 gennaio 2018

In Valle d'Aosta, il mese di gennaio è legato a un appuntamento immancabile: quello con la Fiera di Sant'Orso. Secondo la tradizione, l'edizione di quest'anno sarebbe la 1018^, sebbene i documenti più antichi la attestino, con certezza, "solamente" a partire dal XIII secolo, quando un po' in tutta Europa iniziarono a nascere numerose fiere importanti.

La leggenda, invece, racconta che la Fiera di Sant'Orso sarebbe nata intorno all'VIII secolo, all'epoca in cui è vissuto il santo. E proprio Sant'Orso sarebbe stato il suo iniziatore, quando cominciò a distribuire ai poveri della città dei sabot, per proteggersi dal freddo.

La fiera ha, poi, preso le caratteristiche di un grande mercato degli attrezzi agricoli e, oggi, è conosciuta come occasione per ammirare l'artigianato valdostano.

La lavorazione del legno, tuttavia, rimane centrale ancora ai nostri giorni. Ed è così che possiamo ritrovare i nostri sabot, o meglio quelli di Sant'Orso!

L'origine di queste calzature è molto antica e risale all'esigenza, sentita soprattutto dagli abitanti delle vallate laterali, di dotarsi di scarpe calde, asciutte e stabili anche nella neve, utilizzando un materiale abbondante ed economico: il legno.

Simbolo del popolo, quindi, i sabot sono stati nella storia anche sinonimo di insurrezione. Basti pensare al verbo sabotare che deriva dalle manomissioni delle prime macchine nelle fabbriche, da parte degli operai, proprio a mezzo di queste scarpe.

Anche in Valle d'Aosta, la storia delle soque è fatta di episodi reazionari. In particolare, stiamo parlando delle tre Insurrections des socques, le prime due a carattere antifrancese e la terza contro l'aumento delle imposte, che scoppiarono tra la fine del XVIII secolo e la metà del XIX, a partire da Champorcher.[1]

Per quanto riguarda, invece, le denominazioni utilizzate dai vari patois, troviamo in Valle d'Aosta principalmente due tipi lessicali: tsoca/soca e sabò. Il primo risale al latino soccus che indicava una sorta di calzatura bassa, con particolare riferimento a quella indossata dagli attori comici. Troviamo termini simili anche in provenzale antico e moderno, indicanti grosse scarpe[2]  Lo stesso etimo, inoltre, è all'origine anche dei termini utilizzati per esempio dai francoprovenzali di Arnad e di Challand-St-Victor, indicanti gli zoccoli animali, hoca e soc.

Sabò, analogo al termine francese, sarebbe, invece, il derivato dell'incrocio di due parole: savate, ciabatta, e botte (di origine germanica), stivale, scarpone.[3]

Un tempo, i sabot erano diffusi in tutta la Valle d'Aosta, mentre oggi la loro produzione è concentrata soprattutto nella Val d'Ayas dove sopravvive ancora il mestiere dello tsacolì.

I fabbricanti di tsoque, oltre ad avere un ruolo preziosissimo nella conservazione di un savoir-faire eccezionale, possiedono anche una rilevanza storica. Pochi, infatti, sanno del loro ruolo nel corso della Grande Guerra, quando furono reclutati per fabbricare i sabot da fornire ai soldati delle prime linee che d'inverno si trovavano a combattere in montagna.[4] E ci piace pensare che, forse, proprio grazie a queste semplici calzature, qualcuno ha potuto fare ritorno a casa.



[1] ZANOTTO, A. (1979). Storia della Valle d'Aosta. Aosta : Musumeci editore. P. 165-173 e 184-190.

[2] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). Französisches Etymologisches Wörterbuch (FEW). Bâle : Zbinden. Vol. XII, 13 e ss.

[3] Cf. « sabot » In : TLFi : Trésor de la langue Française informatisé, http://www.atilf.fr/tlfi  , ATILF - CNRS & Université de Lorraine.

[4] FAVRE, S. (2017). La Grande Guerra dei sabotier. In : « Le Messager valdôtain 2017 », 106ème année. Aoste: Imprimerie Valdôtaine. PP. 104-105.