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Balade légendaire

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Chi non ha mai sentito parlare di San Martino e del suo ponte? O del gigante giramondo Gargantuà? 

In questa sezione, dedicata all’universo leggendario valdostano, vi condurremo in un viaggio immaginario da Pont-Saint-Martin a Courmayeur, nel corso del quale incontrerete personaggi reali e fantastici, capaci di raccontare il territorio, ma anche la vita, i sogni e le paure delle generazioni passate. 

Le leggende costituiscono un ponte intergenerazionale che consente di mantenere vivo il senso di identità, contribuendo alla coesione sociale, perché capaci di creare un patrimonio culturale in cui riconoscersi. Sono, infatti, forme particolari di racconto, legate alle caratteristiche del territorio e a un periodo storico preciso. Ecco, allora, che appaiono le nostre montagne, i torrenti, i pascoli, le antiche attività rurali e gli stili di vita; ecco presentarsi il Cervino, il Ruitor, il Medioevo con i suoi personaggi e i suoi santi che accorrono in aiuto della popolazione. 

Alcune storie hanno dimensione locale e la loro conoscenza non si spinge oltre i confini del proprio villaggio; altre invece sono diventate patrimonio comune dell’intera Valle d’Aosta, grazie all’articolazione  della loro trama e all’importanza dei luoghi raccontati.

La crescente globalizzazione culturale mette in pericolo questi antichi racconti, omologando anche la dimensione dell’immaginario. Tuttavia, il lavoro di ricerca e l’impegno alla trasmissione sono in grado di arginare il loro declino e il contributo di tutte le scuole partecipanti al 59° Concours Cerlogne - dedicato al tema Les rêves, les êtres invisibles et les récits fantastiques - è, in questo senso, ancora più importante, realizzando, al tempo stesso, un’opera di conservazione della memoria e di passaggio alle giovani generazioni.

Le versioni qui proposte sono il frutto di una selezione operata sui ricchi materiali presentati dalle classi delle scuole dell’infanzia e primaria sulla base della rappresentatività del territorio valdostano. Per ottemperare a un criterio di coerenza e rendere al meglio le storie narrate, si è scelto di pubblicare le leggende nella varietà francoprovenzale del loro luogo di origine, avvalendosi della fitta rete di patoisant che da anni collabora con il Guichet linguistique francoprovençal, sportello nato per la salvaguardia e la conservazione del patois.

La leggenda di San Martino

Pont-Saint-Martin

C’era una volta un bel villaggio ai piedi di una grande montagna. Lì viveva molta gente. Un torrente lo attraversava. Solo una passerella in legno permetteva il transito delle persone da una parte all’altra. Ogni volta che pioveva, il torrente diventava più grosso e la passerella crollava .

In un giorno di pioggia scrosciante, arrivò in quel villaggio san Martino che doveva recarsi a Roma. A causa della forte pioggia, il torrente straripò e portò via la passerella. San Martino decise di aiutare il villaggio: chiamò il diavolo che subito fu d’accordo a costruire un bel ponte solido, a patto che la prima anima che fosse passata sul ponte dovesse essere sua. Rimasero d’accordo così.

Tutta la notte il diavolo lavorò per costruire un bel ponte, grande e soprattutto robusto.

La mattina, il diavolo aspettava da un lato la sua prima anima. Allora san Martino fece uscire dal suo mantello un cagnolino e lanciò un tozzo di pane dall’altra parte del ponte. La bestiola corse veloce verso il pane e attraversò per prima il ponte.

Il diavolo, arrabbiato come un cane, cercò di demolire il ponte, ma san Martino lo fermò: piantò una croce in mezzo alla campata e il diavolo sparì sotto terra.

La gente, per ringraziare san Martino, decise di dare al villaggio il nome di “Pont-Saint-Martin”.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Mont-Rose A” de Hône

Collaborateur pour le texte : Marisa Charles

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Una veglia a Niel

Gaby

Un tempo, su a Niel, numerose famiglie si riunivano nella stanza riscaldata di casa per la veglia. All’epoca era un’usanza, soprattutto in inverno quando c’era brutto tempo. Le persone si trovavano, stavano insieme a chiacchierare : gli uomini facevano dei lavoretti, riparavano gli attrezzi; le donne filavano oppure cardavano la lana o realizzavano altri lavori manuali. I vecchi raccontavano storie ai piccoli e, a volte, fabbricavano pure bambole di pezza o alcuni giocattoli di legno.

Una notte, in una stanza, si radunarono un bel po’ di persone e non c’erano posti a sufficienza per sedersi. Visto che fuori nevicava, dissero : “Adesso non è proprio il caso di andare a cercare altre sedie, accomodiamoci per terra”.

Il padrone di casa replicò : “Io ho una panca, ma è nell’altra mia abitazione su alla Piquéira, ma non è il caso di andarci ora : il tempo è brutto, fa un freddo del diavolo. Accontentiamoci”. E tutti acconsentirono : “Sì, sì, hai ragione, lasciamo perdere”.

C’era lì un tipo,soprannominato Douceur, un po’ spaccone a cui piaceva raccontarle grosse che disse : “Ah, ci vado io! Non ho paura di uscire quando è notte”. Gli altri lo canzonarono : “Dài, figurati! Non ne sei capace!”.

Alla fine, decise di partire e aggiunse : “ Io vado, ma dovete darmi un gatto nero, un rosario e un tizzone ardente per rischiarare il cammino”.

Partì e non fece molta fatica : c’era un po’ di chiarore lunare che lo aiutava a seguire il sentiero. Arrivò alla casa della Piquéira. Era buio, ma trovò subito la panca nella stalla. Quando fece per prenderla, si accorse che vi era qualcuno seduto sopra. Si perse subito d’animo e tutta la sua baldanza svanì : ebbe paura.

Dopo un momento, si riprese e lanciò davanti alla persona seduta il gatto, il rosario e il tizzone, prese la panca da un lato e scaraventò a terra il tipo che era seduto dall’altro lato. In seguito,  caricò la panca sulla spalla e scappò a gran velocità.

Aveva proprio paura. Cercava di correre, ma sentiva qualcuno che lo seguiva da vicino. Quando arrivò al ponte che doveva attraversare per rientrare a Niel, sentì la voce di quello che lo seguiva dire : “Se questa notte tu non avessi avuto quelle tre cose che avevi richiesto, non avresti potuto tornare a casa per raccontare questa avventura”...

Douceur corse a rompicollo, arrivò nella stanza dai suoi compagni e raccontò cosa gli era successo : era pallido e tremava tutto.

Il giorno seguente, si ammalò e stette male per parecchi giorni. Mai più si avventurò fuori di notte.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand Combin” de Gignod-Variney

Collaborateur pour le texte : Maria Grazia Yon

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Lo gnomo

Hône

A Courtèi, una piccola frazione di Hône, abitava uno gnomo, un vecchio ometto che si diceva avesse cento e più cento anni ancora.

Viveva da solo ; non aveva figli e per questo si corrucciava perché non sapeva a chi lasciare i suoi averi : un riparo sotto una roccia, un piccone, un martelletto e una lanterna.

Chiedeva soltanto erbe e frutti del bosco, gli bastava poco : era piccolo e magro.

Quando veniva acceso il forno del villaggio, lo gnomo non resisteva al profumo del pane fresco : era golosissimo di micooula.

Stava per conto suo e, quando era sicuro di non essere visto, prendeva una bella e grossa micooula e la nascondeva nella sua casa sotto la roccia. A dire il vero, ne prendeva più di una perché aveva il cuore tenero e, quando veniva a sapere che qualcuno era affamato, offriva di nascosto il suo pane. Sentiva piangere un bambino? Correva velocemente alla porta della casa e, per fare uscire la mamma, gettava una manciata di ghiaia sulla porta. La mamma usciva per vedere chi fosse e, intanto, lui entrava in casa, lasciava il pane sul tavolo e poi scappava.

Lo gnomo dormiva poco. Di notte andava a lavorare le pietre nelle forre con il suo martelletto : tac, tac, tac. La gente, alla mattina, trovava le pietre già belle pronte.

Sorvegliava le capre affinché non si mettessero in pericolo e, con un fischio, le mandava nelle loro stalle. Puliva i sentieri, toglieva le pietre dai prati. Di notte parlava e cantava le sue canzoni alle stelle.

Se andate di notte a Piàn Fioou, tendete l’orecchio, forse lo potrete  sentire ancora.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Mont-Rose A” de Hône

Collaborateur pour le texte :  Ivano Favre

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Le orme del diavolo

Champorcher

Un tempo, a Champorcher, succedevano cose strane : le donne non trovavano più le pentole in casa ; al mattino, quando si andava nella stalla, due o tre mucche si erano liberate dalla catena ; molte volte, il fuoco si spegneva non appena acceso… 

Un giorno, il parroco disse : “ Vuoi vedere che è Carquet, il diavolo ! ”.

Francesco, un giovane del posto intervenne : “ Se è così, accidenti, voglio ben vedere cosa succede nella mia stalla di notte !” e andò a nascondersi nella mangiatoia, zitto zitto.

A mezzanotte, sentì la porta della stalla che si apriva e vide un piccolo essere rosso che si avvicinava carponi alle mucche. Il povero pastore aveva veramente paura !

Restò immobile per non farsi scoprire e guardò per bene… sì sì, quell’essere arrivava fino alla catena e staccava due animali. Francesco avrebbe voluto uscire e darsela a gambe, ma poi rifletté un momento : “Non so chi sia costui… da solo è meglio che io non faccia nulla. Domani racconterò tutto agli altri, magari qualcuno verrà ad aiutarmi !”. Quando la bestia rossa uscì, Francesco ritornò a casa e si mise a letto.

Il giorno dopo, mentre raccontava ai suoi amici cosa aveva visto durante la notte, passò di lì il parroco e si fermò ad ascoltare. Quando sentì nominare da Francesco il piccolo essere rosso, disse : “Avete visto che avevo proprio ragione ? È certamente il diavolo! Aveva anche una lunga coda appuntita ?” . E il giovane, ancora leggermente scosso, rispose : “ Non l’ho guardato più di quel tanto da dietro, ma può darsi !”

“Dunque non ci resta che chiedere aiuto al buon Dio !”

Quella notte, Francesco sognò di essere a La Cort e di vedere, ad un tratto, il buon Dio che, da lontanto, si avvicinava a un essere strano. Guardò meglio e lo riconobbe lo stesso che aveva visto la notte precedente intento a staccare le mucche dalla catena.

I due dicutevano e pareva quasi che Carquet volesse scappare.

“No, cose simili! Se neppure il buon Dio riesce a farlo ragionare, ora ci penso io !”. E, sempre nel sogno, partì di corsa. Quando arrivò sul posto, afferrò quella bestiaccia per un braccio e la lanciò lontano, verso Dondena.

Il giorno successivo, Francesco si svegliò con un bel mal di testa ; scese dal letto e si ricordò del sogno. “ Voglio proprio andare su a La Cort per vedere se stanotte è successo qualcosa “, pensò.

Partì lesto e, salendo, scorse un bel buco in un sasso, proprio lì, sotto l’alpeggio : aveva quasi la forma di una zampa ! Decise di salire ancora più su, a Craton, e, in cima a l’Atsèletta, trovò un'altra orma, identica a quella di La Cort !

“ Stavolta il nostro Carquet è sistemato ! Qualcuno gli ha dato una bella lezione !”

Ancora oggi, sotto La Cort e in cima a l’Atsèletta si vedono i buchi che il diavolo, schiantandosi sulle pietre, ha lasciato con le sue zampe  . 

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine et l’École Primaire “Mont-Rose A” de Champorcher

Collaborateur pour le texte : Valeria Vallainc

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La pietraia benedetta

Arnad

Nei terrazzamenti sopra Arnad, oltre il villaggio di Montagne,  c’è un luogo dove ancora si vede un grande ammasso di pietre.

Lì, un tempo, abitavano tre diavoli che trascorrevano le giornate a spaccare le pietre per ridurle in ghiaia.

Le pietre più grosse le facevano rotolare in basso.

Di notte si sentiva ogni sorta di rumore: delle urla spaventose che facevano rizzare i capelli a quelli che abitavano sotto la pietraia.

Ma nessuno riuscì mai a vedere chi provocasse quel trambusto.

Dunque chiesero al parroco di andare a celebrare messa lì, sulla pietraia.

Durante la celebrazione, quei diavoli urlavano sempre più forte, ma nessuno li vide.

Il parroco si tolse la stola e la gettò nel buco dal quale provenivano i rumori. Quando la tirò su, al posto della stola c’era una grossa catena di ferro.

Dopo la benedizione e la recita del rosario, con il suono delle campane che giungeva fin lassù, ogni rumore cessò, tornò la pace e nessuno fece più rotolare le pietre verso il basso.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Mont-Rose A” de Hône

Collaborateur pour le texte : Nella Joly

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La storia di Gamba e Gambetta

Challand-Saint-Anselme

A Challand si narra che il giorno dei morti, quando la campana suona la mezzanotte, il Tortché si apre e oro puro cola giù dal Vallone di Tchahte.

Nessuno aveva mai avuto il coraggio di andare lassù di notte, in mezzo alla neve, a cercare quel tesoro. Fino a che un giorno, Gamba e Gambetta, insieme con il loro amico Anselmo, decisero di partire per verificare se ciò che si narrava fosse vero o meno… 

Procedevano lentamente perché c’era tanta neve, era buio pesto e faceva freddo. Dopo aver camminato per un bel po’ di tempo, erano sì stanchi, ma volevano a tutti i costi arrivare in cima. Giunti ai piedi della vetta del Tortché, sentirono un enorme frastuono e tutta la terra iniziò a tremare sotto i loro piedi. I tre pensarono che fosse la montagna che si apriva, ma non era così. Una grossa valanga, staccatasi dalla montagna, travolse Gamba e Gambetta. Anselmo, che era rimasto leggermente indietro, vide tutto e corse a valle velocemente per cercare soccorsi, ma inutilmente. Di Gamba e Gambetta nessuna traccia, non furono mai più trovati e morirono, così, sotto la neve.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Luigi Barone” de Challand-Saint-Anselme

Collaborateur pour le texte : Marica Pinet

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Il “re” e l’orso

Ayas

Correva l’anno 1782 e, a Tchampiàn di Ayas, viveva Matteo Brunod, un uomo grande e grosso e robusto. Per queste sue caratteristiche, tutti lo conoscevano come il “re”.

Un mattino d’inverno, terminati i lavori in stalla, decise di recarsi a Saint-Jacques per fare delle commissioni.

Indossò il cappello, un grande mantello, calzò gli zoccoli e partì.

Era solo lungo il sentiero, tutto intorno il silenzio : si vedevano soltanto le tracce di alcuni animali.

Ad un tratto, sentì uno strano rumore. Alzò lo sguardo e gli si parò davanti un grosso orso. Ritto sulle zampe posteriori, lo fissava con occhi truci.

Il “re” si vide perduto! non aveva con sé nulla per difendersi : non un coltello, non delle corde e neppure il suo bastone.

L’orso si scagliò su Matteo con le fauci spalancate. Matteo lo prese per il collo con le sue mani forti e strinse con tutte le sue forze.

Nessuno sa  per quanto tempo durò quello scontro. Alla fine, l’orso cadde sulla neve morto stecchito.

Il “re” si sedette sulla neve e restò a lungo accanto all’orso ringraziando il buon Dio per la forza e il coraggio che gli aveva donato.

Dopo essersi ripreso, partì alla volta di Saint-Jacques e, all’osteria, raccontò a tutti quello che gli era successo. Tutti andarono a vedere sul posto per accertarsi che avesse detto la verità. Quando videro l’orso nella neve, lo caricarono su una slitta e fecero il giro di tutti i villaggi. Soprattutto fecero festa al “re” che, alla fine, tornò a casa sano e felice.

Molto tempo dopo, a Tchampiàn, costruirono  “ l’albergo dell’orso” che oggigiorno è chiamato “la casa dell’orso”. Sul muro si può ancora vedere un bel dipinto raffigurante il “re” insieme con l’orso.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Luigi Barone” de Brusson

Collaborateur pour le texte : Saverio Favre

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La leggenda della cascata di Arlaz

Gli anziani raccontano che tanto tempo fa, al colle di Arlaz, abitava Jean-Pierre, un ricco mugnaio con la sua famiglia. Il suo mulino era in funzione tutto il giorno, d’estate come d’inverno. Le persone, con i loro asini carichi di grano, andavano e venivano in continuazione.

La casa di Jean-Pierre era molto bella e vi abitava anche sua figlia Tuzille, una ragazza graziosa e gentile. Jean-Pierre sognava per lei un matrimonio con un ragazzo molto ricco.

Molto giovanotti avrebbero voluto sposare Tuzille, ma lei non ne voleva sapere. Finché un bel giorno arrivò dalla Svizzera Vittorio, un ragazzo sempre allegro : rideva, cantava, ma sfortunatamente era poverissimo.

I due si amavano. La mamma ne era felice, ma il padre, quando lo seppe, andò su tutte le furie e, con un bastone, lo cacciò. Vittorio tornò nella sua misera casetta in mezzo al bosco dove lavorava i suoi campi e pensava al modo di arricchirsi e sposare Tuzille.

Un bel giorno si ricordò della leggenda della cascata e del vitello nero che custodiva il tesoro e decise di andarselo a prendere. Tuzille lo supplicò di non farlo, ma Vittorio non sentì ragioni. 

La notte di Natale, i due giovani si dettero appuntamento al colle di Arlaz ; si sedettero davanti alla roccia della cascata fino a quando, al suono delle campane, la roccia si aprì. Vittorio si fece il segno di croce e entrò. Tuzille, dall’esterno, vide qualcosa di rosso che luccicava : erano gli occhi del vitello !

Una folata di vento si alzò improvvisa e spense la lucerna di Vittorio che cadde in terra e iniziò a lamentarsi. 

Tuzille lo chiamò ripetutamente. Quando le campane tacquero, il passaggio nella roccia si chiuse.

La ragazza iniziò a sferrare pugni, calci, ma nulla successe. Al mattino, la trovarono  attaccata alla roccia del dirupo e di Vittorio nessuno ebbe più notizie.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Ottavio Jacquemet” de Montjovet Chef-lieu

Collaborateur pour le texte : Franca Culaz

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La leggenda di Djan-Can

Saint-Vincent

Dalla frazione di Crevén si sale a Capard ; da lì si imbocca la mulattiera per Dizeille e Perrière. A metà strada, a destra salendo, si vedono ancora, in mezzo a una pietraia, i ruderi di una vecchia e grande casa. Il nome del luogo è Djan-Can.

Su Djan-Can esiste un’antica leggenda che i vecchi del villaggio amano spesso raccontare.

Pare che in quel luogo sia vissuto, in un bel palazzo, un signore molto ricco, cattivo come il veleno con tutti e solitario.

Si narra che, prima di morire, affinché nessuno potesse godere del suo oro, abbia scavato sotto la casa una grotta buia e capiente per nascondere per bene il suo tesoro.

Le persone, che sapevano dell’esistenza di quel tesoro, avrebbero voluto impossessarsene, ma per andare a prenderlo occorreva aspettare la mezzanotte, infilarsi in un cunicolo con un gatto nero in braccio, scendere quattordici scalini ripidi e ghiacciati, arrivare nella grotta, avvicinarsi alla cassa piena d’oro, affrontare Djan-Can che montava sempre di guardia, prendere il maggior numero di monete d’oro e darsela a gambe.

Era facile a dirsi, ma impossibile a farsi.

Negli anni, parecchi giovani, molto coraggiosi, entrarono nella grotta, ma nessuno riuscì mai a recuperare una sola moneta, al contrario, ne uscirono tutti con una paura tremenda.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Abbé J.M. Trèves” de Saint-Vincent - Moron

Collaborateur pour le texte : Maura Susanna

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La cappella di Pontì

Torgnon

La cappella di Pontì si trova lungo la strada che va da Mongnod al Petit-Monde.

Fu costruita addossata al dirupo da cui cadevano continuamente dei massi.

Da allora, nessuno più rischiò  di prendersi dei sassi in testa.

Qualche anno fa, un uomo uscì di strada : il suo trattore rotolò giù lungo la pietraia e lui non si fece nulla.

La gente racconta che sul dirupo dietro la cappella qualcuno ha visto la Madonna.

Gli abitanti di Chamois cercarono per ben tre volte  di spostare la Madonna per portarla al loro villaggio.

La Madonna è sempre ritornata indietro. Gli abitanti di Chamois si videro così costretti a rinunciare all’impresa.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Gignod-Variney

Collaborateur pour le texte : Elsa Frutaz

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Gargantua e la Gran Becca

Valtournenche

Gargantua era un uomo grande e grosso e molto gentile. Era arrivato a Valtournenche dopo aver viaggiato per il mondo intero. Certo di aver scoperto il paradiso, con quel meraviglioso panorama e la tranquillità della valle, decise di fermarsi lì.

Gargantua andava d’accordo con tutti e aiutava le persone a fare i lavori più duri. Per lui era come bere un bicchier d’acqua.

Con una mano sola, spostava un torrente oppure ricoverava tutto il fieno della stagione. Le persone sapevano che lui amava rimanere tranquillo e lo lasciavano stare. Però, a volte, i bambini gli chiedevano di poter salire sulle sue grandi mani oppure di raccontare loro le avventure vissute in giro per il mondo. 

Il gigante, fiero, raccontava di tempeste incredibili e di paesi molto molto lontani. Ogni tanto, ricordando i suoi viaggi, gli tornava la voglia di partire per andare ancora una volta a scoprire cose nuove.

Un giorno, gli venne la curiosità di vedere cosa ci fosse dall’altra parte della valle. Un mattino all’alba, partì per arrampicarsi in cima alle vette. Faceva molta attenzione a non calpestare i prati e i campi dei suoi amici. 

Arrivò presto ai piedi del ghiacciaio. Cercò di salire, ma era troppo pesante e, dopo qualche passo, fece cadere delle grosse pietre e la montagna intera crollò. Soltanto lo sperone che era tra le gambe di Gargantua si salvò.

Quella montagna, adesso solitaria contro il cielo, offrì un bellissimo panorama, molto più bello di quello di prima.

Quel giorno, Gargantua fece nascere la Gran-Becca !

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Mont-Rose A” de Hône

Collaborateur pour le texte : Yvonne Barmasse

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La leggenda del povero di Porossan

Aosta

Molti anni fa, all’epoca della peste del 1600, viveva un pover’uomo che abitava da solo in una vecchia casa sulla collina di Aosta.

Quell’uomo non usciva mai di casa per non ammalarsi di quella terribile malattia.

Si racconta che l’uomo mettesse ogni giorno un pezzo di pane sul davanzale della finestra. Alla sera lo ritirava e, se il pane era coperto di muffa, lui non usciva, perché significava che la peste circolava ancora.

E così andò per parecchio tempo.

La volta in cui l’uomo, ritirando il pane,  lo vide secco e pulito, ebbe la certezza che la peste era finita, così potè nuovamente uscire di casa, sano come un pesce.

Da quel giorno, gli diedero il soprannome di “lo pouo san” (il povero sano) e il villaggio dove lui viveva fu in seguito chiamato Porossan.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Gignod-Variney

Collaborateur pour le texte : Iris Morandi

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Chérì bandito

Roisan

Chérì Bandito era un bambino che era stato allevato a Roisan da una straccivendola poverissima.

L’avevano soprannominato così perché aveva buon cuore, ma, al tempo stesso, era uno sventato : rubava dove poteva, ma non conservava nulla per sé. Era un po’ come il Robin Hood dei nostri tempi !

Il guaio era che tutto gli si attaccava alle dita !  

Praticava anche un po’ di contrabbando e finì in prigione parecchie volte, ma riuscì sempre a evadere.

Conosceva le prigioni come le sue tasche : entrava e usciva.

Aveva un coraggio da leone : prima della fine della guerra, liberò tutti i prigionieri della torre dei Balivi.  

Quando i carabinieri venivano a cercarlo, era impossibile catturarlo! Aveva tanti amici ovunque che lo nascondevano, perché lui aiutava un po’ tutti rubando.  

A volte capitava che i carabinieri lo trovassero in casa : quando erano davanti alla porta pronti per entrare, Chérì saliva sul tetto attraverso una botola  e si lanciava per otto, dieci metri aprendo un grande ombrello che aveva fabbricato lui stesso proprio allo scopo di  fuggire.

Si narra che, per finire, sia morto in prigione.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Gignod-Variney

Collaborateur pour le texte : Giusy Bal

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La leggenda di By

Ollomont

Fin verso il 1600, nel villaggio di By, sopra Ollomont, vivevano persone che risiedevano lì tutto l’anno. Non sappiamo per quale ragione ora non ci abiti più nessuno.

Si racconta che gli abitanti di By amassero molto cantare e ballare.

Una vigilia di Natale, tutti si preparavano per recarsi al “pianoro delle danze” e trascorrere un momento di festa.

Eppure il curato non aveva concesso il permesso per andarci. Quelli di By, senza dare troppo peso alle parole del prete, ci andarono ugualmente. Mentre tutti stavano ballando, un enorme incendio devastò il villaggio. Bisognava spegnerlo subito, ma non c’era un goccio d’acqua, era tutto gelato.

Del villaggio, alla fine, non restarono che le ceneri e qualche trave bruciata.

Così gli abitanti di By si videro costretti a lasciare il vecchio villaggio e a scendere a Ollomont per costruire nuove case.

Recherche et dessins réalisés par l’École Enfantine “Grand-Combin” de Valpelline

Collaborateur pour le texte : Iris Morandi

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La leggenda della torre

Oyace

A Oyace, in cima a una grande montagna, sopra un torrente, c’è una vecchia torre ottagonale, la Tornalla, che guarda tutta la piana di Valpelline. C’è un bel panorama da lassù!

Un tempo, nel castello con la torre, vivevano una donna gentile e un uomo con dei modi un po’ bruschi e senza cuore.

La donna gentile visitava ogni giorno le case dei poveri e degli ammalati prendendo di nascosto i beni del castello.

Un giorno l’uomo si accorse che mancavano le scorte di cibo per l’inverno e mancava pure del denaro ; così , arrabbiato e sospettando della moglie, mise tutto sotto chiave.

Ma quando la donna posava la sua mano sul chiavistello, la porta si apriva lo stesso, i sacchi e le cassapanche si riempivano nuovamente e nessuno si accorgeva di nulla.

Un giorno, mentre la donna si trovava al villaggio, incontrò suo marito che volle guardare dentro il cesto che teneva sotto il braccio.

Cosa ci poteva essere dentro ?

La donna glielo mostrò e dentro c’erano delle rose.

L’uomo ne prese una e se la mise sul cappello.

Quando arrivò al castello, si accorse che sul cappello non c’era più una rosa, ma una pagnotta, proprio come quelle che la donna ogni giorno offriva ai poveri.

Dopo quel miracolo, l’uomo cambiò vita e iniziò ad aiutare sua moglie a fare la carità.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Gignod-Variney École Primaire “Grand-Combin” de Bionaz-Oyace

Collaborateur pour le texte : Lucia Venturini

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La montagna forata

Bionaz

Tanti anni fa, viveva un santo molto potente : san Teodulo.

Il santo doveva portare delle campane in Svizzera, ma non aveva voglia di fare quel viaggio lungo e faticoso. San Teodulo era molto scaltro e allora chiese al diavolo di trasportare lui le campane in Svizzera.

Il diavolo borbottò, ma aveva un gran timore del santo, così fece come gli aveva detto. Prese le campane e si incamminò su e poi  giù, poi in qua e in là dalla Valle d’Aosta al Vallese per parecchie volte. Alla fine era stanchissimo. Per finire, per fare più presto, pensò di fare un foro nella montagna e così, da quel giorno, abbiamo la Montagna Forata.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Bionaz-Oyace

Collaborateur pour le texte : Paola Petitjacques

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Le donne della morena

Gressan

Un tempo, a monte del paese di Gressan, vivevano due brutte streghe. Un giorno, decisero di scendere in paese vestite da mendicanti per chiedere l’elemosina.

Queste streghe erano così brutte e cattive che tutti ne avevano paura e nessuno diede loro nulla. Le donne, molto arrabbiate, tornarono a casa loro con il proposito di vendicarsi.

Prepararono due grandi cumuli di terra con l’intento di gettarli a valle per sbarrare la  Dora, inondare Gressan e spazzare via tutte le case. 

Quando furono sul punto di far scivolare giù quei cumuli, arrivò san Grato che fermò la terra con un gesto della sua mano. 

Da quel giorno, nessuno vide più le due streghe. Colte dalla vergogna, si nascosero nella loro grotta e non ne uscirono mai più.

I due grandi cumuli di terra sono rimasti là dove era intervenuto san Grato. Così nacquero le morene di Gressan : una è la Couta e l’altra è la Couta-Piillaouza.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Maria Ida Viglino” de Valsavarenche et l’École Enfantine “Mont-Emilius 3” de Gressan

Collaborateur pour le texte : Rosita Jorioz

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Gerbore

Saint-Nicolas

All’epoca in cui l’Italia era sotto la dominazione spagnola, viveva un generale, Napoleone, che aveva combattuto cento battaglie.

Un giorno, quel generale decise di cambiare vita e partì sul suo cavallo bianco alla ricerca di una felicità più semplice.

Dopo tanta strada, arrivò a Sivouà. Salì fino alla frazione di Sarriod dove incontrò una bella pastorella bionda che pascolava le sue pecore.

Napoleone comprese subito di aver trovato quello che cercava. I due giovani si sposarono e si misero a lavorare i terreni incolti sopra Sarriod e così in estate, dopo la semina del grano, tutta quella parte di territorio pareva d’oro.

Isabella e Napoleone chiamarono quel luogo “Gerbes d’or” (Covoni d’oro) e al loro primo figlio diedero il nome di Gerbore.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “J.-B. Cerlogne” de Saint-Nicolas

Collaborateur pour le texte : Bruno Domaine

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Il cavaliere verde

Cogne

All’alpeggio del Money, nel vallone di Valnontey, le giornate si susseguivano tranquille  : le mucche brucavano la buona erba d’altura, i pastorelli trascorrevano le giornate a fare le cose che più amavano, i cani giocavano.

Finché un bel giorno tutto cambiò : si scorse sul ghiacciaio un cavaliere verde su di un cavallo di identico colore.

Il cavaliere attraversò il ghiacciaio, poi la pietraia, fino ad arrivare nel prato dove le mucche pascolavano.

L’uomo scese da cavallo, si avvicinò alle mucche e con un piccolo bastone diede loro dei colpetti alle mammelle.

I pastori e i cani si paralizzarono dalla paura e non osarono affrontare il cavaliere che partì al galoppo sul suo destriero.

Quel giorno, come il più anziano dei pastori aveva previsto, le mucche rimasero in asciutta. Niente latte.

Il giorno dopo, alla stessa ora, il cavaliere si presentò di nuovo. Rifece gli stessi gesti e quindi se ne partì via al galoppo senza che i pastori potessero fermarlo. La cosa si ripetè per molti giorni. 

Per fortuna, un pomeriggio, arrivò lassù un cacciatore, uno dei più in gamba di Cogne, con il suo fucile. Gli era giunta all’orecchio la notizia di ciò che era successo al Money. Disse ai pastori di non preoccuparsi e il giorno seguente si piazzò ben nascosto dietro un grosso masso. Quando il cavaliere verde gli arrivò vicino, il cacciatore uscì dal suo nascondiglio pronto a sparare.

In quell’istante, il cavaliere non fece né uno né due e, con il suo cavallo, sparì lasciando dietro di sé un fumo così tanto puzzolente che non si poteva sopportare. Da quel giorno, non lo videro più nei paraggi e neppure all’alpeggio del Money. Le mucche diedero di nuovo latte e i pastori non smisero di ringraziare quel bravo cacciatore che li aveva liberati da quel terribile nemico. 

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Maria Ida Viglino” de Cogne

Collaborateur pour le texte : Bruno Zanivan

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L’uomo selvatico di Ploriòn

Valsavarenche

Un tempo, a Ploriòn, c’era un uomo un po’ strambo che viveva da solo, sotto un grande riparo roccioso. Aveva i capelli lunghi che gli coprivano tutto il corpo. Non indossava mai abiti né calzava scarpe.

Il Selvatico era un omone forte, molto robusto e sempre scalzo.

Non aveva mai freddo, anche se era nudo. Sentiva freddo solo quando soffiava la tramontana. 

Il Selvatico di Ploriòn conosceva molte cose : amava la natura, era molto industrioso e ingegnoso e conservava tanti segreti.

Secondo questa leggenda, fu lui a insegnare alle persone di Valsavarenche a fare una buona fontina e un buon burro. Aveva promesso alla popolazione di insegnare anche sette diversi modi di lavorare il latte e il segreto per fabbricare la cera per fare le candele.

Come spesso succede, dei disonesti vollero prendersi gioco di lui e divertirsi. Così, un giorno, lo constrinsero a calzare le scarpe, ma lui non le tollerava proprio:  gli facevano veramente male!

Da quel giorno, per il dolore, la rabbia e il dispiacere, il Selvatico di Ploriòn sparì e nessuno lo vide più.

E così la gente di Valsavarenche non potè più conoscere gli altri segreti che l’uomo selvatico aveva promesso di svelare.

Del Selvatico di Ploriòn ci è rimasto un modo di dire che, anche oggigiorno, nel pieno dell’inverno, i vecchi ripetono.

Loro dicono che aveva proprio ragione il Selvatico di Ploriòn, vestito dei suoi soli capelli, quando diceva : “ Il brutto tempo mai ci sarà, eccetto quando il venticello gelido soffierà!”.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Maria Ida Viglino” de Valsavarenche

Collaborateur pour le texte : Stefania Chabod

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La mucca grigia

Valgrisenche

Molto tempo fa, dei pastori francesi conducevano le mucche a pascolare su al Col du Mont.

Ogni giorno una mucca grigia si allontanava per molte ore e tornava ben pasciuta e sazia.

Allora i pastori, curiosi, iniziarono a seguirla e videro che andava in una valle sconosciuta. Era una valle ampia, bella, verdeggiante, ricca di acqua.

Proprio per questo chiamarono il luogo “valle della mucca grigia” che, con il passare del tempo, divenne Valgrisenche.

Secondo un’altra interpretazione, meno pittoresca di questa, si dice che il nome di Valgrisenche derivi dal latino “Vallis graiae”.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire Jean-Baptiste Cerlogne de Saint-Nicolas et les Écoles Primaire et Enfantine “Maria Ilda Viglino” de Valgrisenche 

Collaborateur pour le texte : Annalisa Bois

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Il segantino

La Salle

Nel villaggio di Lenteney, nel comune di La Salle, accanto alla cascata, c’era una costruzione che usavano come segheria e mulino. Questi opifici funzionavano con l’acqua che cadeva dal torrente dietro le case.

L’acqua arrivava con forza contro le ruote che si mettevano a girare ; la segheria funzionava per segare le assi e produceva un rumore tremendo.

Al mulino, gli ingranaggi facevano girare la mola di pietra che macinava il grano e lo trasformava in farina.

Il segantino lavorava tutto il giorno ; a volte era troppo stanco per tornare a casa e allora si fermava a dormire in una camera accanto alla segheria. Spesso sua moglie veniva a cercarlo e lo costringeva a rincasare a Derby.

Una notte, la donna decise di fermarsi a dormire lì, alla segheria di Lenteney, ma non chiuse occhio per tutta la notte, ogni sorta di rumori la tennero sveglia, mentre il marito dormiva senza problemi.

Al mattino, la donna chiese all’uomo la ragione di tutti quei rumori che solo lei aveva sentito.

“È un sabba !” le rispose lui.

La donna se ne andò turbata e il segantino decise anche lui di lasciare la segheria.

A causa della paura, da allora, nessuno volle più restare a Lenteney e così le case man mano crollarono e oggi sono completamente invase dai cespugli.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Valdigne-Mont-Blanc” de Derby-La Salle

Collaborateur pour le texte : Félicie Charrey

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La leggenda del Rutor

La Thuile

Tanto tempo fa il Rutor, la grande montagna tutta bianca che vediamo da Saint-Nicolas, era verdeggiante, piena di gente, di prati, di mucche e di pecore. Tutti erano tranquilli e tutto andava bene.

Un giorno, un uomo avaro vide quel bel luogo e decise di acquistare tutti i terreni per potervi trascorrere gli ultimi giorni della sua vita. Il buon Dio pensò di verificare se il cuore di quell’uomo così cattivo potesse ancora nascondere un animo buono. Si vestì da povero e di notte bussò alla porta dell’uomo... ma nessuno rispose; si addormentò dunque nel fienile sulle balle di fieno appena ritirate dagli operai.

Il giorno dopo, all’alba, i lavori in campagna iniziarono come ogni mattina.  Quando fu terminata la mungitura e i secchi erano colmi di latte, il buon Dio si avvicinò e disse : « Buon uomo, per favore, ho tanta sete, dammi un po’ di latte… il buon Dio ti ricompenserà in Paradiso ». Ma l’uomo, guardando come era mal vestito, iniziò a ridere e gli rispose : « Piuttosto che dare il mio prezioso latte a un poveraccio come te, lo rovescio sui prati ! ». E così l’uomo avaro versò tutto il latte sul prato.

A partire da quell’istante, il cielo si rabbuiò e l’acqua gelò. Gli operai scapparono spaventati e l’uomo avaro rimase solo.

Cominciò a nevicare per giorni, per mesi, per anni e anni. Quando la collera del buon Dio si placò, il sole sorse di nuovo, ma i prati verdi erano spariti, c’era soltanto il ghiacciaio del Rutor. 

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Maria Ida Viglino” de Valsavarenche et l’École Primaire “J.-B. Cerlogne” de Saint-Nicolas

Collaborateur pour le texte : Adelina Roullet

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Il dente del Gigante

Courmayeur

Tanti anni fa, in Valle d’Aosta, c’erano molti spiriti malevoli che combinavano disastri ovunque : facevano rotolare le pietre giù dalle montagne, spostavano la terra sotto i piedi, riempivano i laghi e i torrenti. La gente viveva nella paura.

Un giorno giunse notizia che, in un paese molto lontano, viveva un mago che aveva molti poteri e sapeva fermare il male.

Partirono a cercarlo perché aiutasse la valle a disfarsi di quegli spiriti malefici.

A Pont-Saint-Martin, il mago tirò fuori il libro della magie e pronunciò parole incomprensibili.

Ad un tratto,  gli spiriti maligni uscirono da ogni dove come una nuvola di corvi e partirono al seguito del mago. Arrivarono anche nella Comba Frèide e nelle altre vallate.

Il mago aveva attirato con sé tantissimi spiriti e, giunto a Courmayeur, li condusse in una grande prigione nel ghiacciaio del Monte Bianco : tutti gli spiriti vi entrarono e la porta nella roccia si chiuse.

Da quel giorno, il Dente del Gigante tiene prigionieri gli spiriti che cercano ancora oggi di uscirne e rompere l’incantesimo del mago.

Recherche et dessins réalisés par l’École Primaire “Grand-Combin” de Gignod-Variney

Collaborateur pour le texte : Sebastian Urso

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